Speciale Fabrizio De Andrè
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Speciale Fabrizio De Andrè
Una notizia molto interessante per iniziare bene il 2009
Magari a qualcuno interessa...
e se ci fosse qualcuno che registra non sarebbe male
Magari a qualcuno interessa...
e se ci fosse qualcuno che registra non sarebbe male
Dalla ML Amici di Peter (dedicata a Peter Gabriel)
http://it.groups.yahoo.com/group/amici_di_peter/
Domenica 11 Gennaio 2009, su Rai 3, dalle ore 20 alle ore 24,
speciale "Che Tempo Che Fa - decennale della morte di Fabrizio De Andre'".
Parteciperanno tantissimi artisti ed e' probabile anche la partecipazione di Peter Gabriel, che interpreteranno brani del grande Fabrizio. Alle ore 22.45 in contemporanea 70 radio Italiane, network e locali, trasmetteranno tutte la stessa canzone di Fabrizio.
E altre tantissime iniziative.
Condurranno' Fabio Fazio e Dori Ghezzi.
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Bisogna assomigliare alle parole che si dicono. Forse non parola per parola, ma insomma ci siamo capiti [Saltatempo di Stefano Benni]
Chi non sa ridere non è una persona seria [Fryderyk Chopin]
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Re: Speciale Fabrizio De Andrè
Dal sito dell'unità vi riporto questo articolo
Dal link: http://www.unita.it/index.php?section=news&idNotizia=74785
De Andrè, l'uomo che vedeva troppo lontano
di Alberto Crespi
Sono già passati dieci anni. Fabrizio De Andrè ci ha lasciati l’11 gennaio
del 1999. A sentire le sue canzoni, non si direbbe. E nemmeno ad
ascoltare le sue vecchie interviste. «Quello che riesce sempre a
sorprendermi - dice Dori Ghezzi, la sua compagna - è l’attualità delle
cose che Fabrizio diceva e scriveva. Sembra che parli oggi, di quel che
noi siamo ora, in questo momento».
In questi giorni ci sono due ottime scuse per verificare l’attualità di
De Andrè. Una è la mostra aperta a Genova, a Palazzo Ducale: è stata
inaugurata il 29 dicembre, c’era anche il sindaco di Genova Marta
Vincenzi - e c’era naturalmente Dori Ghezzi, che ha fornito molti dei
materiali esposti: «È stata una cerimonia sobria e commossa, mi
sembravano tutti molto coinvolti, spero fossero sinceri». L’altra è il
cofanetto Effedia - Sulla mia cattiva strada, edito da Bmg Sony/Nuvole,
che contiene due cd antologici con tre inediti e, soprattutto, il dvd
del documentario omonimo realizzato dalla giornalista Rai Teresa
Marchesi: «Sulla mostra non mi pronuncio perché sono parte in causa -
prosegue Dori Ghezzi -, sul film di Teresa invece sì: è bellissimo,
raccoglie interviste di Fabrizio che non ricordavo e testimonianze di
amici vecchi e nuovi. Sì, è un ottimo modo per avvicinarsi a Fabrizio e
alla sua opera».
Partiamo dal cofanetto, signora Ghezzi: contiene 3 inediti, gli appassionati possono aspettarsene altri?
«Non che io sappia: fra le cose di Fabrizio che abbiamo conservato in
famiglia, non ce ne sono altri. Ma come per la mostra, rinnovo un
appello: Fabrizio è di tutti coloro che amano la sua musica, per cui se
qualche appassionato è in possesso di qualche incunabolo, di qualche
chicca, si faccia vivo. Potrà condividere quel che ha, restandone
proprietario: è una promessa».
Si diceva della modernità di Fabrizio...
«È vero dei suoi testi come è vero delle sue musiche. Che sia stato uno
degli inventori della world music oggi di moda, non lo dico io: lo ha
detto Peter Gabriel e mi sembra basti. I suoi testi parlano sempre di
coloro che non hanno il potere, e hanno la forza di spiazzarti. Quando
pubblicò il famoso “disco dell’indiano”, l’lp intitolato semplicemente
Fabrizio De Andrè che contiene la canzone Sand Creek, gli piaceva
ripetere la storia di Colombo che non aveva scoperto l’America ma c’era
arrivato per sbaglio, facendo la rovina delle persone che vivevano là
da millenni. Fabrizio aveva sempre una lettura diversa, più sottile,
delle cose. Per questo i suoi testi sono sempre attuali, come le sue
interviste. Si esprimeva con un linguaggio che è ancora nostro
contemporaneo, nonostante la comunicazione sia peggiorata e la lingua
italiana, che lui amava, venga spesso torturata nei media e in
televisione. A volte vorrei che diventasse anacronistico».
In che senso?
«Pensi a Sidùn. È una canzone in cui un padre piange un figlio caduto
in guerra. Parla del Medio Oriente, e di tutte le guerre. È di tremenda
attualità proprio in questi giorni, se vediamo cosa sta accadendo in
Terra Santa. Ecco, sogno un giorno in cui Sidùn suoni anacronistica».
Signora Ghezzi, il suo canto nella parte finale di «Khorakané», nel
disco «Anime salve», rimarrà la sua ultima apparizione discografica? In
altre parole, non ci sarà mai un nuovo disco di Dori Ghezzi?
«Penso proprio di no! In realtà sono ricaduta in peccato una volta,
quando Fernanda Pivano mi ha convinto a cantare Il suonatore Jones per
il suo documentario Farewell to the Beat. Poteva riuscirci solo lei. Mi
è molto piaciuto, perché il pezzo - è una delle canzoni di Fabrizio
ispirata all’Antologia di Spoon River - è bellissimo... Ma da lì a
tornare a fare la cantante, ce ne passa».
Lei ha avuto un periodo di grande popolarità fra gli anni ‘60 e ‘70. Non lo rimpiange minimamente?
«Ogni tanto mi trovo con amici di quel tempo e ci facciamo un sacco di
risate ricordando le cose buffe che ci sono capitate. A posteriori,
ripensandoci, giungo alla conclusione che non posso fare a meno della
musica ma preferisco i ruoli dietro le quinte. Avevo un bel rapporto
con il pubblico, ma non sono mai stata abbastanza egocentrica da star
bene sul palco. I tour mi stressavano molto, e non mi mancano».
Che musica ascolta, oggi?
«Ascolto molto Bob Dylan. Non mi stanca mai».
Lo ascoltava anche con Fabrizio?
«Le confesserò: quando siamo andati a vivere in Sardegna, per anni non
abbiamo ascoltato praticamente nulla perché nella casa dove abitavamo
non c’era nemmeno la corrente elettrica! Conducevamo una vita
lontanissima dalla musica e dai suoi ambienti. Lui amava Dylan, ma non
più di Leonard Cohen o dei francesi, Brel e Brassens. Ha inciso due
cover di Dylan, ma furono prima De Gregori, poi Bubola a convincerlo».
Ora che l’intervista «seria» è finita, le dobbiamo una confessione:
avevamo 11 anni quando lei cantava «Casatchok» e la sua immagine mentre
fa il ballo russo in tv è un mito della nostra infanzia...
«Se aveva 11 anni, la perdono! (ride, ndr) Certo, era il ‘68 e io
ballavo il Casatchok... ma io non rinnego nulla del passato, quindi
nemmeno quel disco. Spero solo, in seguito, di essere cresciuta. Dal
Casatchok a De Andrè, mi sembra un bel percorso».
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