Ascolto vs misurazioni: tre approcci differenti.
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Ascolto vs misurazioni: tre approcci differenti.
Ciao a tutti.
Mi permetto di suggerire approcci differenti ad un tema ormai trito, ma che riemerge con una certa ciclicità: ascolto vs misurazioni.
Gli approcci suggeriti sono tre e non riguardano direttamente l’hifi, ma spero possano stimolare riflessioni in tal senso.
L’analisi guida la percezione.
Faccio parte di panel di analisi sensoriale da più di 6 anni prevalentemente per cibo e bevande.
Molti di voi sapranno già come funziona: c’è un allenamento che ha lo scopo di formare gli assaggiatori associando sempre lo stesso nome alla stessa sensazione.
Ad esempio in una soluzione c’è solo sale. Oppure si annusa solo l’aroma del limone. O si morde e mastica sempre un certo tipo di consistenza.
Poi ci si allena a dare sempre la stessa indicazioni di intensità allo stesso stimolo.
Si ottiene così un vocabolario comune.
E si ottiene anche una misura comune delle intensità, spesso poco compreso da chi non si occupa di analisi sensoriale: in genere si pongono differenti tipi di intensità da ordinare.
In questo modo si evitano già molti dei timori di soggettività dell’analisi perché ogni assaggiatore dà la sua risposta soggettiva, ma l’ordinamento dal meno al più intenso, ad esempio, è facilmente confrontabile con quello degli altri.
Lo stesso vale per aromi e sapori e sensazioni tattili.
La somministrazione varia dalla semplice somministrazione cieca, al doppio cieco (raro), all’ormai noto ABX.
Nel centro in cui faccio parte dei panel si sono sperimentati anche approcci piuttosto particolari con il monitoraggio della risposta celebrale agli stimoli.
Semplici metodologie statistiche minimizzano ulteriormente le derive soggettive.
Molti produttori di cibo e bevande sottopongono i loro prodotti all’analisi sensoriale, sia con panel interni che, come nel mio caso, esterni.
E c’è anche un numero sorprendente di applicazioni a prodotti non legati al cibo o alle bevande (dalla cosmesi al packaging, al settore automobilistico).
Gli stessi produttori si affidano ovviamente anche a misurazioni e, in molti casi, ad assaggi fatti da consumatori comuni del prodotto.
Tutti gli approcci sono utili.
Ci sono vantaggi che si possono facilmente evidenziare:
1. L’approccio con il consumatore generico può dare indicazioni sulle caratteristiche salienti che il consumatore cerca o si aspetta dal prodotto
2. L’analisi sensoriale guida le misurazioni nell’ambito della percezione umana (magari la massa atomica di una barretta di cioccolato ci dice che tipo di dolcificante c’è, ma non ci dice se l’essere umano è capace di riconoscerlo).
Tra l’altro è accade che i dati forniti dal mktg su un prodotto non siano riscontrabili dalla percezione umana: ad esempio l’acidità dell’olio, fondamentale, ma non sufficiente per definire un extravergine, è riscontrabile solo in laboratorio.
3. Inoltre qualora il produttore voglia adeguare il proprio prodotto a cosa richiede il consumatore deve sapere esattamente cosa cambiare, cioè a quale misurazione corrisponde una certa sensazione.
4. Le misurazioni sono fondamentali per gestire il processo di produzione.
5. Le misurazioni sono fondamentali per guidare la formazione dei panel.
6. Le misurazioni delle performance del panel inoltre (come nel post “blind test”) evitano che i tester si esprimano su cose che non sanno percepire.
Il piacere guida la percezione
Di contro, mia moglie è anche sommelier e vengo a contatto con molti sommelier.
Il loro approccio è differente, per il sommelier è importante:
1. conoscere il più possibile di un prodotto per poterlo narrare e contestualizzare;
2. conoscere quanto più possibile la cultura enogastronomica per poter abbinare il prodotto;
3. e soprattutto valutare qualitativamente il prodotto nella percezione umana.
La valutazione qualitativa che danno di un vino è una cosa che non so fare, ma al di là delle caricature che si fanno sui sommelier, la loro valutazione qualitativa non è affatto soggettiva nel senso dispregiativo del termine: sono addestrati a percepire sensazioni differenti ad elaborarle e a comunicarle in un loro contesto ben definito.
In tutta onestà non penso affatto che il mondo dei sommelier sia tutta fuffa e, se devo scegliere un vino, mi faccio consigliare da mia moglie.
Il significato guida la percezione.
L’ultimo spunto è un po’ più complesso da riassumere e da postare perché prevede una lettura.
L’autore del libro è Daniel Moerman, il libro si intitola: “Meaning, Medicine and the 'Placebo Effect'” (ora anche in traduzione italiana “Placebo. Medicina, biologia, significato”).
Ne copio un abstract da IBS:
“ll modello di medicina che predomina in Occidente (e spesso la pratica che ne deriva) si alimenta di una visione dualista dell'essere umano, quella del corpo-macchina separato dalla mente. Ma gli uomini non sono macchine. L'influsso di questo mondo dei significati sulla biologia umana è un fenomeno da considerare con attenzione nella cura del malato. Nell'opinione comune l'efficacia della terapia è attribuita a fattori specifici come i farmaci o gli interventi chirurgici. Ma molte cose accadono in medicina che non hanno quest'unica spiegazione; ad esempio, l'effetto placebo, da cui prende spunto il saggio di Moerman: la somministrazione di sostanze di per sé inerti a pazienti persuasi della loro efficacia spesso produce risultati vistosi.”
Non penso sia possibile separare tutte le componenti che guidano la nostra percezione, né ignorare le misurazioni, ma avere maggiore consapevolezza del nostro approccio aiuta ad apprezzare maggiormente i nostri ascolti e a dare le nostre valutazioni.
Mi scuso fin d’ora per il lungo post e spero di leggere i vostri punti di vista.
Buona musica.
Mi permetto di suggerire approcci differenti ad un tema ormai trito, ma che riemerge con una certa ciclicità: ascolto vs misurazioni.
Gli approcci suggeriti sono tre e non riguardano direttamente l’hifi, ma spero possano stimolare riflessioni in tal senso.
L’analisi guida la percezione.
Faccio parte di panel di analisi sensoriale da più di 6 anni prevalentemente per cibo e bevande.
Molti di voi sapranno già come funziona: c’è un allenamento che ha lo scopo di formare gli assaggiatori associando sempre lo stesso nome alla stessa sensazione.
Ad esempio in una soluzione c’è solo sale. Oppure si annusa solo l’aroma del limone. O si morde e mastica sempre un certo tipo di consistenza.
Poi ci si allena a dare sempre la stessa indicazioni di intensità allo stesso stimolo.
Si ottiene così un vocabolario comune.
E si ottiene anche una misura comune delle intensità, spesso poco compreso da chi non si occupa di analisi sensoriale: in genere si pongono differenti tipi di intensità da ordinare.
In questo modo si evitano già molti dei timori di soggettività dell’analisi perché ogni assaggiatore dà la sua risposta soggettiva, ma l’ordinamento dal meno al più intenso, ad esempio, è facilmente confrontabile con quello degli altri.
Lo stesso vale per aromi e sapori e sensazioni tattili.
La somministrazione varia dalla semplice somministrazione cieca, al doppio cieco (raro), all’ormai noto ABX.
Nel centro in cui faccio parte dei panel si sono sperimentati anche approcci piuttosto particolari con il monitoraggio della risposta celebrale agli stimoli.
Semplici metodologie statistiche minimizzano ulteriormente le derive soggettive.
Molti produttori di cibo e bevande sottopongono i loro prodotti all’analisi sensoriale, sia con panel interni che, come nel mio caso, esterni.
E c’è anche un numero sorprendente di applicazioni a prodotti non legati al cibo o alle bevande (dalla cosmesi al packaging, al settore automobilistico).
Gli stessi produttori si affidano ovviamente anche a misurazioni e, in molti casi, ad assaggi fatti da consumatori comuni del prodotto.
Tutti gli approcci sono utili.
Ci sono vantaggi che si possono facilmente evidenziare:
1. L’approccio con il consumatore generico può dare indicazioni sulle caratteristiche salienti che il consumatore cerca o si aspetta dal prodotto
2. L’analisi sensoriale guida le misurazioni nell’ambito della percezione umana (magari la massa atomica di una barretta di cioccolato ci dice che tipo di dolcificante c’è, ma non ci dice se l’essere umano è capace di riconoscerlo).
Tra l’altro è accade che i dati forniti dal mktg su un prodotto non siano riscontrabili dalla percezione umana: ad esempio l’acidità dell’olio, fondamentale, ma non sufficiente per definire un extravergine, è riscontrabile solo in laboratorio.
3. Inoltre qualora il produttore voglia adeguare il proprio prodotto a cosa richiede il consumatore deve sapere esattamente cosa cambiare, cioè a quale misurazione corrisponde una certa sensazione.
4. Le misurazioni sono fondamentali per gestire il processo di produzione.
5. Le misurazioni sono fondamentali per guidare la formazione dei panel.
6. Le misurazioni delle performance del panel inoltre (come nel post “blind test”) evitano che i tester si esprimano su cose che non sanno percepire.
Il piacere guida la percezione
Di contro, mia moglie è anche sommelier e vengo a contatto con molti sommelier.
Il loro approccio è differente, per il sommelier è importante:
1. conoscere il più possibile di un prodotto per poterlo narrare e contestualizzare;
2. conoscere quanto più possibile la cultura enogastronomica per poter abbinare il prodotto;
3. e soprattutto valutare qualitativamente il prodotto nella percezione umana.
La valutazione qualitativa che danno di un vino è una cosa che non so fare, ma al di là delle caricature che si fanno sui sommelier, la loro valutazione qualitativa non è affatto soggettiva nel senso dispregiativo del termine: sono addestrati a percepire sensazioni differenti ad elaborarle e a comunicarle in un loro contesto ben definito.
In tutta onestà non penso affatto che il mondo dei sommelier sia tutta fuffa e, se devo scegliere un vino, mi faccio consigliare da mia moglie.
Il significato guida la percezione.
L’ultimo spunto è un po’ più complesso da riassumere e da postare perché prevede una lettura.
L’autore del libro è Daniel Moerman, il libro si intitola: “Meaning, Medicine and the 'Placebo Effect'” (ora anche in traduzione italiana “Placebo. Medicina, biologia, significato”).
Ne copio un abstract da IBS:
“ll modello di medicina che predomina in Occidente (e spesso la pratica che ne deriva) si alimenta di una visione dualista dell'essere umano, quella del corpo-macchina separato dalla mente. Ma gli uomini non sono macchine. L'influsso di questo mondo dei significati sulla biologia umana è un fenomeno da considerare con attenzione nella cura del malato. Nell'opinione comune l'efficacia della terapia è attribuita a fattori specifici come i farmaci o gli interventi chirurgici. Ma molte cose accadono in medicina che non hanno quest'unica spiegazione; ad esempio, l'effetto placebo, da cui prende spunto il saggio di Moerman: la somministrazione di sostanze di per sé inerti a pazienti persuasi della loro efficacia spesso produce risultati vistosi.”
Non penso sia possibile separare tutte le componenti che guidano la nostra percezione, né ignorare le misurazioni, ma avere maggiore consapevolezza del nostro approccio aiuta ad apprezzare maggiormente i nostri ascolti e a dare le nostre valutazioni.
Mi scuso fin d’ora per il lungo post e spero di leggere i vostri punti di vista.
Buona musica.
arthur dent- Membro classe bronzo
- Data d'iscrizione : 01.12.14
Numero di messaggi : 1146
Provincia : Ancona
Impianto : sorgenti
amplificatore
casse
Re: Ascolto vs misurazioni: tre approcci differenti.
Lo spunto è molto interessante. La percezione, soprattutto quella complessa (sapori, musica) incide su una miriade di sensori biologici anche diversi (tattili, papille gustative, timpano e orecchio interno....ecc) e viene condotta da strutture neurologiche verso il cervello e/o strutture periferiche (il cervello inteso come "organo della coscienza" ha diverse strutture autonome periferiche come ad esempio l'amigdala e molte altre e poi ci sono tante strutture periferiche decentrate, anche l'intestino ad esempio ha moltissimi neuroni) e già qui ci possono essere differenze tra soggetti diversi, ancora maggiore tra razze diverse (discorso a parte il fatto che alla radice non esistono razze ma di fondo siamo tutti africani). Gli stimoli nervosi vengono elaborati e tradotti dal cervello e qui la percezione può essere completamente differente tra individui diversi. Il cervello è un organo in continua trasformazione, le aree cerebrali della corteccia sono in un continuo equilibrio tra cooperazione e competizione. La percezione cerebrale è influenzata da infinite variabili, da abitudini, contesto sociale, addirittura dagli individui che ci stanno accanto (neuroni specchio). I produttori di cibi industriali possono solo sperare di tarare il gusto su un certo target specifico di razza, contesto sociale e territoriale, ecc, e comunque solo in termini di media. In tutto questo meraviglioso marasma ecco perchè gli audiofili spendono fortune per avere impianti sostanzialmente equivalenti ad impianti decisamente più abbordabili. Tra lo stimolo sensoriale e la nostra presa di coscienza della percezione esiste quindi una sorta di "lente" che può ingrandire, ridurre, deformare o addirittura invertire uno stimolo. Inoltre le nostre convinzioni possono alterare processi biologici e percezioni. Ricordi Giucas Casella che faceva incollare le mani ? L'ho fatto anche io in passato, si chiama monoideismo plastico. Nel noto e documentato effetto placebo, in ambito medico una parte delle persone (anche fino al 30%) ha effetti biologici in termini di miglioramento somministrando solo acqua. Ci sono molti guaritori ciarlatani che ottengono risultati di guarigione...ma indovina perchè e chi veramente guarisce, il guaritore o il paziente stesso ? Mi fermo qui perchè il messaggio diventa troppo lungo ma potrei scrivere pagine senza fermarmi
federico666- UTENTE DISISCRITTO
- Data d'iscrizione : 13.04.20
Numero di messaggi : 620
Località : Milano
Provincia : milano
Impianto : Stereo
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