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A Certain Ratio - To Each

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Messaggio Da Artinside Mer 25 Gen 2012 - 14:07

http://www.sentireascoltare.com/recensione/4986/a-certain-ratio-to-each.html


A Certain Ratio - To Each Acerta10

A CERTAIN RATIO
To Each
Factory

Molto prima che Manchester diventi Madchester e battezzi il matrimonio tra cultura dance ed etnia rock, nelle lande piovose del Nord dell’Inghilterra si aggira un gruppo capace di far ballare selvaggiamente il popolo mancuniano: A Certain Ratio.
La storia del combo corre contigua a quella della Factory Records, l’indie label nata nel 1979 dalle menti di Martin Hannet, Tony Wilson e Peter Faville; i Ratio vi trovano casa, andando ad arricchire un roster nel quale si affiancano a Durutti Column e Joy Division, dei quali gli A Certain Ratio rappresentano una sorta di controparte funk. I punti in comune non sono pochi: stessa città, stessa label e stesso produttore (Martin Hannet, che mette mano a qualsiasi produzione musicale targata Factory), quindi identico suono, cavernoso e opaco. Mentre però Curtis e compagni guardano alla tradizione maledetta del rock (Velvet Underground, Stooges), i Ratio si deliziano le orecchie con massicce dosi di Stax e Motown, Parliament e Funkadelic.
Bianchi che trafficano in territori prevalentemente neri, a farla breve. Per l’album d’esordio, Hannett se li porta a (no) New York, creando un legame virtuale tra Pil, Gang Of Four e Pop Group da una parte, Talking Heads e Contortions dall'altra. La grande mela in questi anni è la fucina delle nuove ritmiche infatuate di poliritmie funk, e quel brulicante sottobosco si materializza nella scena off, ovvero nei locali dei bassifondi, frequentati tra gli altri da una ninfetta di nome Veronica Ciccone. È da queste frequentazioni che nasce il clima di To Each... debutto fulminante fatto di chitarre metalliche e densissime bass lines.
Episodi ricchi di inventiva e carichi di ritmo come l’africaneggiante Back To The Start e la lunga e tribale Winter Hill, il post punk tirato di Choir, l’intellettualismo funk di Felch e Loss, con il cantato di Simon Toppin sciamanico come se fosse un Ian Curtis (che nel frattempo si era tolto la vita) dall'anima nera. Questo disco, insieme al successivo Sextet, rappresenta la fotografia di un’epoca feconda che ha non poco affascinato le giovani leve newyorchesi. Chi oggi sbava a ogni Liars, Rapture e compagnia “clonante”, sappia almeno in quale terra affondano le loro radici.

Gianni Avella da sentireascoltare.com
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