Calexico The Black light
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Calexico The Black light
http://www.ondarock.it/pietremiliari/calexico_theblacklight.htm
CALEXICO
The Black Light
(Quarterstick) 1998
roots-rock, tex-mex, desert-rock
di Salvatore Setola
Calexico è una città della California il cui nome unisce la parte iniziale della parola "California" a quella finale della parola "Mexico". Un incrocio, una koinè insomma, ma anche una linea di confine: non è California ma non è nemmeno Messico; è entrambe le cose e altro ancora. Questa è la qualità distintiva della parola "Calexico", al di là del suo riferimento topografico, che affascinò Joey Burns e John Convertino, rispettivamente già basso e percussioni dei Giant Sand di Howe Gelb, decisi nel 1996 a dare vita a un nuovo progetto musicale che portasse proprio quel nome.
Nel 1997 pubblicarono il loro primo album, "Spoke", senza infamia né lode: la loro formula mischiava folk e country, Bob Dylan e Giant Sand, spaghetti western e umori messicani. Il risultato fu interessante, ma difettava di omogeneità; in effetti, sarebbe stato impensabile che già all’esordio il duo di Tucson, Arizona, fosse riuscito ad amalgamare in modo coerente elementi stilistici così disparati.
Con "The Black Light", però, la premiata ditta Burns-Convertino centra il bersaglio grosso: il loro secondo lavoro, infatti, non solo tiene in perfetto equilibrio gli elementi che in "Spoke" rimanevano sparigliati, ma miracolosamente ne aggiunge di nuovi, espandendo i già folti orizzonti sonori dell’esordio oltreoceano e nell’America meridionale.
"The Black Light" è un caleidoscopio di musiche tradizionali, popolari e, nel caso, anche colte: le radici della musica americana (il folk e il country), il tex-mex (musica ispanica del Texas) e la musica messicana delle orchestre mariachi si sposano con echi della tradizione musicale balcanica, peruviana e caraibica. A ciò si aggiungono suggestioni morriconiane, incursioni cameristiche e un’attitudine (post) rock. È davvero stupefacente la grazia con cui si dipana questo ordito policromo.
In questo disco Burns e Convertino sono coadiuvati da un gruppo di musicisti all’altezza della situazione: Howe Gelb al piano e all’organo, Neil Harry alla chitarra pedal steel, Bridget Keating al violino, Gabriel Landin al guitarròn (chitarra messicana di grandi dimensioni), Nick Luca alla chitarra classica e i tre trombettisti Rigo Pedroza, Fernando Sanchez e Al Tapatio.
La tracklist si compone di diciassette pezzi di cui solo sei ("The Ride", "The Black Light", "Missing", "Trigger", "Stray" e "Bloodflow") contengono parti vocali; le restanti undici tracce sono tutte degli strumentali.
La musica dei Calexico si impone fin dal primo ascolto per le sue fascinazioni cinematografiche: "Gypsy’s Curse", brano d’apertura, "Frontera", brano di chiusura, e "The Ride" sono cavalcate di frontiera accompagnate da trombe mariachi e chitarre desertiche. Si tratta, a ben vedere, di spericolati on the road che non avrebbero sfigurato come scenari sonori dei primi film di Robert Rodriguez.
Brani come "The Black Light", "Missing" e "Bloodflow", invece, virano verso atmosfere jazzate e notturne e si abbandonano ad accordi dilatati e ritmiche convolute, tanto da richiamare certo post-rock di Louisville. Dietro questi pezzi, cantati come in un sussurro da Burns, si nasconde l’anima più malinconica (la steel guitar dolente alla Neil Young) e raffinata (le spazzolate flessuose di Convertino) dei Calexico.
Tutti i pezzi dell’album sono degni di nota, ma tra i tanti vale la pena segnalare, in modo particolare, la mesta sonata da camera per violoncello, vibrafono e chitarra di "Where Water Flows"; la fanfara gitana per fisarmonica e violoncello di "Sideshow"; la solenne "Minas De Cobre", debitrice delle colonne sonore di Ennio Morricone per i film western di Sergio Leone; e quel capolavoro di semplicità country intitolato "Over Your Shoulder".
C’è, poi, "Fake Fur", una sorta di rumba sostenuta da un contrabbasso e da percussioni metalliche, mentre la steel guitar langue in sottofondo. E come non citare la traccia numero dodici, "Sprawl", breve intermezzo noir sospeso tra note sognanti di mandolino e teneri, impercettibili, afflati di vibrafono?
Con "The Black Light" i Calexico restituiscono vigore a musiche tradizionali, non solo statunitensi. Il loro è un nuovo modo di concepire il roots-rock, visto come una riscoperta delle radici musicali in senso non più unidirezionale e specifico, ma globale. Ma c’è di più: dietro l’indole, in apparenza ludica, di Burns e Convertino, si celano, in realtà, musicisti appassionati e colti, esistenzialisti nei casi più estremi.
I Calexico, sul finire degli anni Novanta, decennio in cui il rock ha guardato costantemente in avanti, volsero il loro sguardo indietro riesumando, col piglio austero degli etnomusicologi, musiche di tempi e luoghi remoti, arrivando così a creare una forma di roots-rock postmoderno.
Artinside- Membro classe argento
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Re: Calexico The Black light
Disco fantastico!
vastx- Membro classe argento
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Impianto : Al di là della misura non c'è limite alcuno.
(Epitteto)
Re: Calexico The Black light
vastx ha scritto:Disco fantastico!
Artinside- Membro classe argento
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Re: Calexico The Black light
Ho anche questo! Credo di preferirlo a Hot Rail.
Dei Calexico personalmente trovo meravigliosi i recenti Garden Ruin e Carried To Dust.
Dei Calexico personalmente trovo meravigliosi i recenti Garden Ruin e Carried To Dust.
Mulo- UTENTE BANNATO
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Re: Calexico The Black light
Troppi ricordi con questo album! Stupendo
MClean86- Membro di riguardo
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